Da anni ormai la dicotomia cartesiana mente/corpo è stata superata per cercare di rendere conto della complessità dell’uomo.
In quest’ottica, Steven w. Cole ed i suoi collaboratori, appartenenti all’Università della California ed alla Los Angeles School of Medicine, stanno portando avanti una serie di ricerche che studiano gli effetti dellasolitudine sulla salute.
Nel loro ultimo lavoro, pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences”, i ricercatori dimostrano la connessione tra solitudine e stato infiammatorio sia negli esseri umani che nei macachi rhesus.
La ricerca è stata condotta su 141 soggetti e su 18 esemplari di macachi rhesus.
In entrambe le specie si è dimostrato come “l’isolamento sociale percepito” comporti una condizione di fragilità che innesca, come reazione, un maggiore stato di vigilanza nei confronti delle minacce sociali che, a sua volta, alimenta la condizione di solitudine. Tale reazione comporta, anche, l’attivazione di alcuni meccanismi fisiologici tra cui la CTRA (conserved transcriptional response to adversity).
La CTRA è un sistema di regolazione genica che comporta due processi.
Il primo è la riduzione dell’espressione di alcuni geni deputati alla produzione di anticorpi (contro infezioni e virus).
Il secondo è l’invio di segnali dal sistema nervoso simpatico (SNS) al midollo osseo con conseguente sovrapproduzione di globuli bianchi, cellule dendritiche e monociti. Ciò a sua volta contribuisce a mantenere nell’organismo uno stato di infiammazione sistemica che rende più vulnerabili a numerose patologie croniche.
Attivare piani di prevenzione e cura di tipo psicosociale appare, quindi, ancora più fondamentale alla luce dei risultati di questa ricerca.