Lo sviluppo del web permette, oggi, a tutti noi l’accesso quotidiano a miriadi di informazioni, che un tempo erano per la maggior parte inaccessibili o di difficile divulgazione.
Internet ci permette di informarci, di comunicare, di semplificarci la vita quotidiana ma non sempre, per alcuni, è uno strumento positivo.
E’ ormai diffusa la tendenza a ricorrere ad internet per avere qualsiasi informazione, anche rispetto alla propria salute. Tale tendenza, in rapida diffusione, porta gli individui a inserire i sintomi che percepiscono in un motore di ricerca, per poi fare “auto-diagnosi” in base ai risultati ottenuti.
Il Censis nel 2012 dichiarava che, dagli esiti di una loro indagine, il 32,4% degli italiani ricorresse ad internet per informarsi sui temi sanitari.
Ma quanto sono clinicamente valide le informazioni sanitarie che troviamo su internet?
Non molto, a quanto dicono i risultati di una ricerca condotta da Zuccon G. della Queensland University of Technology, in collaborazione con l’ Australian e-Health Research Centre e la Vienna University of Technology.
Zuccon e collaboratori hanno dimostrato che le persone utilizzano attivamente i motori di ricerca per avere informazioni sanitarie on-line. Ma i browser forniscono una serie di informazioni utili sulle malattie solo quando la domanda digitata (chiamata query) è ben articolata. Per le altre query, che sono mal formulate e ambigue (ad esempio, quando una persona sta cercando di descrivere i propri sintomi), i motori di ricerca potrebbero non riuscire a fornire informazioni pertinenti, corrette e comprensibili. E’ stato così scoperto che i principali motori di ricerca forniscono informazioni irrilevanti che, a loro volta, potrebbero portare alla non corretta auto-diagnosi, auto-trattamento e, infine, possibili danni.
Questo significa che le possibilità di farsi un’idea sbagliata sul proprio stato di salute, con tutte le possibili conseguenze, è molto alta. Inoltre, nella lista dei risultati di ricerca appaiono spesso nelle prime posizioni informazioni che riguardano patologie gravi. Ciò accade perché la classifica delle pagine, che compaiono per ogni ricerca che si effettua, è data dal numero delle volte in cui quelle pagine sono state cliccate. Visto che la maggioranza delle persone che ricorrono ad internet per avere informazioni sanitarie è spinta dalla preoccupazione, è facile capire il motivo per cui alle prime posizioni dei risultati di ricerca troviamo pagine che parlano di malattie gravi.
Ricorrere, dunque, al web per spiegarsi il significato di un sintomo può far facilmente imbattere le persone in informazioni fuorvianti. Proprio a causa della diversità e della gravità dei risultati ottenuti, si è spesso spinti a prolungare le ricerche in maniera ossessiva, entrando così in una spirale di ansia e preoccupazione.
Il quadro emozionale e comportamentale appena descritto viene oggi chiamato “cybercondria”.
Nel primo studio condotto in merito, i ricercatori di Microsoft, R. White ed E. Horovitz, hanno indagato i metodi di ricerca sul proprio stato di salute dei soggetti intervistati. E’ emerso che la ricerca, solitamente, inizia digitando dei sintomi comuni ma poi, in una escalation di preoccupazione dovuta alla lettura di articoli allarmanti trovati sul web, si prosegue cercando informazioni in merito a patologie più gravi.
Una volta entrati in questa spirale, l’ansia, che aveva spinto la persona a iniziare una ricerca sul web, può aumentare in maniera esponenziale. L’attenzione si focalizza sui sintomi percepiti con conseguente incremento dell’iniziale preoccupazione. In preda all’angoscia, si arriva a richiedere al proprio medico svariate indagini diagnostiche per fugare ogni dubbio di malattia (atteggiamenti tipici dell’ipocondria).
La ricerca di informazioni sanitarie sul web può facilmente accrescere il livello d’ansia di chiunque, senza che questi soffrano necessariamente di ipocondria.
Ma quando questo tipo di atteggiamento è messo in atto da persone che hanno una accentuata inclinazione alla preoccupazione per il proprio stato di salute, l’effetto può risultare più traumatico. L’accesso indiscriminato alle informazioni del web, in queste persone, può comportare il peggioramento del proprio stato di salute generale, compromettendo la vita relazionale e lavorativa.
Ad allertare sui pericoli di una navigazione indiscriminata, alla ricerca di patologie inesistenti, è stata un’indagine condotta da Thomas Fergus, del College of Arts & Sciences della Baylor University. Nel suo studio Fergus ha riscontrato che persone con un grado elevato di “intolleranza all’incertezza” hanno anche un concomitante maggiore livello d’ansia e sono più inclini a sviluppare il disturbo da cybercondria.
La facile reperibilità ad una miriade di informazioni, in queste persone, contribuisce solo ad accrescere la loro preoccupazione, andando ad intensificare il loro malessere piuttosto che offrirgli un valido aiuto.
Il problema, in realtà, non è soltanto che alcuni risultati mostrati dai motori di ricerca non siano affidabili, ma anche e soprattutto che spesso l’utente non ha gli strumenti critici necessari per selezionare correttamente le informazioni.
La possibilità di informarsi sul web, anche dal punto di vista sanitario, non è di per sé un male purché sia fatto con responsabilità: scegliendo siti affidabili e confrontandosi sempre con degli specialisti di propria fiducia.
Per chi, invece, soffre di disturbo d’ansia per le malattie è più opportuno rivolgersi sempre prima al proprio medico curante ed utilizzare il web solo per approfondire la conoscenza su eventuali patologie diagnosticate.
E’ importante rivolgersi ad uno psicoterapeuta in caso la preoccupazione di avere qualche malattia sia intensa e la ricerca sul web sia compulsiva.
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